
E’ italiana la più alta stazione globale della rete GAW

GINEVRA, Svizzera — Riconoscimento ufficiale per l’Osservatorio italiano Everest-Pyramid, che fornisce da oltre 5000 metri di quota informazioni preziose e uniche sulla composizione dell’atmosfera. E’ la conferma dell’eccellenza italiana nel campo della ricerca applicata alla protezione dell’ambiente.
A Ginevra, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) ha conferito all’Osservatorio Italiano Everest-Pyramid del Comitato Ev-K2-CNR, situato a oltre 5.000 metri di quota ai piedi del Monte Everest presso il Laboratorio Piramide, in Nepal, il ruolo di stazione globale del programma Global Atmosphere Watch (GAW). Everest-Pyramid è divenuto così il 33° punto ‘focale’ di monitoraggio della composizione dell’atmosfera terrestre: il più elevato di questa rete e la prima stazione italiana, seppure al di fuori del territorio nazionale, che ottiene questo prestigioso riconoscimento.
“È un prestigioso riconoscimento per la comunità scientifica italiana e per il Consiglio Nazionale delle Ricerche, che svolge attività sia scientifiche sia tecnologiche all’avanguardia, come dimostra il funzionamento ininterrotto dal marzo 2006 della stazione Everest-Pyramid, che fornisce da oltre 5000 metri di quota informazioni preziose e uniche sulla composizione dell’atmosfera”, osserva Giuseppe Cavarretta, Direttore del Dipartimento Terra e Ambiente del CNR.
“Questo osservatorio sulle pendici dell’Everest, nato nell’ambito del progetto SHARE (Stations at High Altitude for Research on the Environment), la rete di stazioni di monitoraggio climatico e ambientale promossa e gestita da Ev-K2-CNR”, sottolinea il Presidente del Comitato, Agostino da Polenza, “ha ora ufficialmente assunto lo status di osservatorio climatico di rilievo internazionale e assumerà un sempre maggiore valore scientifico considerando anche tra l’altro la sua collocazione al confine tra le due regioni più densamente popolate del pianeta”.
“Everest-Pyramid o Nepal Climate Observatory-Pyramid è attiva nell’ambito di progetti strategici per il monitoraggio della composizione chimico-fisica dell’atmosfera e per lo studio degli effetti dei cambiamenti climatici nell’Asia meridionale”, precisa Paolo Bonasoni dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC-CNR), coordinatore di SHARE e responsabile della stazione GAW. “Quest’area è infatti particolarmente influenzata dalla presenza delle cosiddette ‘Atmospheric Brown Clouds’ (ABC), le nubi di inquinanti che durante il periodo invernale e pre-monsonico si estendono dall’Oceano Indiano all’Himalaya per effetto delle emissioni di particelle e gas dalle vaste aree urbane e industriali, agricole e forestali, con conseguenze su clima, qualità dell’aria, sistema monsonico e agricoltura, e offre quindi un’unica opportunità nel rilevare i processi legati ai cambiamenti climatici. Queste misure hanno registrato che elevate concentrazioni di particelle carboniose e altri inquinanti possono raggiungere e superare le pendici del Sagaramatha (il ‘dio del cielo’ come i nepalesi chiamano l’Everest), depositandosi sui ghiacciai, modificandone l’albedo ed influenzandone la fusione”.
Il Global Atmosphere Watch (GAW) è un programma istituito dal WMO (World Meteorological Organization) che coinvolge circa ottanta paesi con lo scopo di fornire dati sulla composizione chimica e sulle caratteristiche fisiche dell’atmosfera, studiandone i cambiamenti naturali e antropici al fine di migliorare la comprensione delle interazioni con oceani e biosfera e della crescente influenza delle attività umane sul clima globale. È anche sui dati forniti da questa rete che si basano i rapporti dell’IPCC-Intergovernmental Panel on Climate Change, che riassumono le conoscenze più aggiornate circa lo stato dell’atmosfera e dei processi climatici planetari. GAW può contare su oltre 600 stazioni regionali e 33 ‘globali’, la maggior parte di quest’ultime situate in aree remote di primaria importanza per valutare i cambiamenti su medio-lungo periodo dell’atmosfera terrestre.
Questo riconoscimento internazionale ricevuto dal CNR e dal Comitato Ev-K2-CNR è anche frutto della collaborazione con il CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique) francese, del NAST (Nepal Academy of Science and Technology) e dell’Università di Urbino (Istituto di Chimica), a conferma dell’eccellenza italiana svolta nel campo della ricerca applicata alla protezione dell’ambiente.
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